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Cosenza tra passato e presente

La città di Cosenza è ubicata ai piedi dell’altopiano silano, nel punto in cui si congiungono i due fiumi Crati e Busento. Il centro storico, chiamato Cosenza vecchia, sorge appunto a nord della confluenza dei due corsi d’acqua. Ebbene, a questa specifica posizione geografica è legata la “leggenda del tesoro di Alarico”. I primi riferimenti di cronaca – inerenti la morte del re Alarico – le cita lo storico di origine bizantina Giordane – vissuto nel VI secolo – nella sua Storia dei Goti. Il volume di Giordane, però, è una fonte di “seconda mano”, poiché trae spunto dal libro di Cassiodoro, Historia Gothica, andato in fumo nell’incendio che distrusse il  monastero di Squillace.

Heinrich Leuteman (1824-1904)

Successivamente è lo storico Paolo Diacono – autore di Historia Longobardorum  (Storia dei Longobardi) –  a riprendere l’evento due secoli dopo. Si racconta  che il re dei Visigoti Alarico, dopo aver saccheggiato Roma nel 410 d.C. (la prima invasione dopo oltre mille anni di storia della città eterna nda), mentre stava scendendo la penisola italiana con il suo esercito, fu colto da un’apoplessia nelle vicinanze di Cosenza. Giordane e Paolo Diacono raccontano con tutti i particolari la sua tumulazione: il re dei Visigoti fu sepolto con il suo cavallo – insieme all’ingente tesoro d’ oro e gioielli sottratto a Roma – alla  confluenza, cioè il punto in cui i due fiumi si incontrano, ma solo dopo aver deviato il corso del fiume Busento.  Altra curiosità legata a questa leggenda riguarda gli schiavi, che deviarono il letto del fiume Busento. La leggenda racconta che furono tutti uccisi, affinché non ci fosse nessun testimone della sepoltura. Sono trascorsi tanti secoli, si sono avvicendate tante campagne di scavi, ma del tesoro di Alarico non c’è traccia. Sparito nel nulla o fu una   falsa notizia storica?  

Un’altra curiosità legata a Cosenza, e che l’accomuna a Roma, è quella inerente la sua ubicazione geografica, poiché la città bruzia è posizionata su sette colli (Pancrazio, Vetere, Guarassano, Venneri, Gramazio, Tiglio e Mussano) proprio come la capitale italiana. Naturalmente,  stiamo parlando della città vecchia, in quanto, dalla seconda metà dell’Ottocento, la città si espanse nella pianura fluviale sottostante.Cosenza, inoltre, si trova al centro della più estesa provincia italiana, e, nel corso dei secoli, ha visto la sua identità culturale  legata all’Oriente con le contaminazioni del lungo dominio  bizantino, ma anche per l’arrivo dei profughi albanesi, che popolarono tantissimi centri urbani vicini al territorio cosentino. Il legame con l’Oriente, e in particolare con la Grecia, ha fatto sì che Cosenza abbia ricevuto l’appellativo di “Atena della Calabria”. Il fervore culturale della città si consolidò soprattutto con il grande filosofo Bernardino Telesio nato a Cosenza nel 1509. Dopo aver compiuto gli studi a Milano, Roma e Padova rientrò nella sua città natale, dando vita  all’Accademia cosentina, un centro di discussione filosofica. Bernardino Telesio è considerato come uno dei pionieri  di una nuova e innovativa visione del mondo, sostenuta nella sua grande opera La natura delle cose secondo i suoi principi. Una delle tante opere inserita nell’Indice dei libri proibiti, cioè il catalogo della Chiesa  in cui venivano inclusi gli scritti considerati eretici, vale a dire contrari alla Dottrina cattolica.

Il castello svevo

BREVE STORIA DELLA CITTÀ

Cosenza fu fondata da un’antica popolazione italica, i Bruzi o Brettii, nel IV secolo a.C., per questo è chiamata anche la “città bruzia”, in quanto il suo toponimo originario fu Cosentia, cioè consenso, perché la città, per come raccontano gli storici, fu fondata in seguito a un patto sottoscritto tra le diverse tribù del territorio.

Cosenza diventò così il centro urbano interno più importante, mentre le vicine coste venivano colonizzate dai Greci, i quali fondarono diverse città commerciali, tra cui Sibari.  La convivenza con i vicini non fu certo pacifica, perché si registravano continue tensioni con i coloni greci insediatisi lungo le coste. Intorno al 204 a.C. le città della Magna Grecia – insieme all’intero territorio controllato dai Bruzi – furono assoggettate a Roma. Durante la seconda guerra punica, ci fu un periodo di alta tensione tra Roma e i Bruzi, rei di aver aiutato nel conflitto il nemico Annibale. Questo “sgarro” dei Bruzi venne punito duramente dai Romani al termine della guerra punica. Il territorio fu sottoposto a una dura occupazione militare da parte delle legioni romane. Nel frattempo iniziarono i lavori della via Popilia, un’importante arteria consolare, che attraversava la città per giungere poi a Reggio Calabria. In città era stata costruita una stazione, che, al tempo dei Romani, serviva per lo scambio di cavalli, al  vitto e all’alloggio dei viandanti.  

Con il crollo dell’Impero Romano, s’insediarono le popolazioni barbariche, mentre in seguito Cosenza cadde sotto la dominazione longobarda, diventando sede di gastaldato del duca di Salerno. Al dominio longobardo seguì il  lungo possesso bizantino, che, come scritto, lasciò un sostrato di radici culturali in tutto il territorio cosentino. Ma è con gli Svevi che Cosenza assunse un ruolo di primaria importanza. Infatti, durante il dominio di Federico II di Svevia furono costruiti i più importanti monumenti della città, cioè il castello sulla sommità del colle Pancrazio e il Duomo nel cuore della città vecchia.  

Il Duomo 

La città in seguito alla caduta degli Svevi passò prima sotto la dominazione degli Angioini e poi degli Aragonesi per far parte infine del Regno  dei Borbone di Napoli.

Nella storia della città c’è un episodio che si interseca con i moti mazziniani, precedenti al Risorgimento italiano.  Accadde che due giovani ufficiali veneziani, i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, arrivati in Calabria per guidare la protesta delle popolazioni locali contro i Borbone, furono catturati, processati e condannati  a morte. L’esecuzione capitale avvenne nel vallone di Rovito alle porte di Cosenza.

Nel 1854 si verificò un tremendo terremoto che distrusse gran parte del patrimonio urbanistico e artistico della città e del circondario. 

Con l’unità d’Italia la città diventò il centro amministrativo dell’intera provincia e cominciò l’espansione aldilà del fiume Crati.  

COSA VISITARE

Il castello svevo si erge imponente sulla sommità del colle Pancrazio. La costruzione originaria fu eretta dai Saraceni, ma l’attuale struttura fu riadattata dai Normanni prima e in seguito dagli Svevi, in quanto il maniero era stato compromesso dal terremoto del 1184. La fortezza fu costruita in blocchi di tufo calcareo e ha una pianta rettangolare con quattro torri per ogni angolo.

Il Duomo, o cattedrale di Santa Maria Assunta, si trova nel cuore del centro storico cittadino e fu costruito intorno alla metà del XII secolo, ma il  terremoto del 1184 distrusse in parte la sua struttura. La ricostruzione fu completata nel 1222. Il Duomo è in stile romanico, ma nel corso dei secoli subì ristrutturazioni con gli apporti di diversi stili, tra cui il gotico e il barocco. All’interno del Duomo si possono ammirare la cappella, dedicata alla santa patrona della città, cioè la Madonna del Pilerio. Sopra l’altare è ubicata l’icona, opera in stile bizantino con influssi siciliani e campani. L’iconografia della tavola è quella della Galaktotrophousa, cioè la madonna che allatta Gesù bambino.

L’icona della Madonna del Pilerio santa patrona della città

All’interno della cattedrale si può ammirare il monumento funerario della regina di Francia, Isabella d’Aragona, moglie del re Filippo III, detto l’Ardito. Si racconta che i reali rientravano dall’ ottava Crociata (chiamata anche di Tunisi), quando la flotta fu distrutta da una tempesta al largo della Sicilia, per cui furono costretti a riprendere la strada di terra. Nei pressi di Cosenza, nel 1271, la gestante regina morì. La tradizione medievale prevedeva il rito di tumulare le parti molli sul luogo di morte e seppellire le ossa nella cappella di Saint Denis a Parigi. Pertanto, nel sarcofago riposano le parti molli della regina Isabella d’Aragona e del feto che portava in grembo.

Sempre nel Duomo di Cosenza riposano i resti di uno dei tanti  figli di Federico II di Svevia, Enrico VII detto lo Sciancato, che morì nelle vicinanze della città.

Nei pressi del Duomo si trova il museo diocesano in cui è custodito il Tesoro della cattedrale. Il pezzo più pregiato del Tesoro è la Stauroteca, una croce lignea ricoperta d’oro, che, secondo la tradizione, fu donata alla città dall’imperatore Federico II di Svevia, in occasione della consacrazione della cattedrale del 1222.

La Stauroteca

ENOGASTRONOMIA

Essendo un territorio interno, e confinante con l’altopiano silano, la cucina ha subito, nel corso dei secoli, l’influenza  e dei popoli, che si sono avvicendati nella sua storia, ma anche per l’utilizzo dei prodotti agroalimentari della campagna. La gastronomia, con l’arrivo delle piante provenienti dal nuovo mondo, cambiò la sua tradizionalità. Il peperoncino, i peperoni e le patate contaminarono e mutarono la cucina cosentina e calabrese.

Il primo piatto per eccellenza della cucina cosentina, però, è lagana e ceci, povero nei suoi ingredienti ma buono e sostanzioso. La lagana è la tagliatella fatta in casa.

Le patate della vicina Sila, che hanno ricevuto l’IGP,  sono l’ingrediente, insieme ai peperoni, per cucinare “pipazzi e patane”. Si friggono in un tegame le patate tagliate a fette e i peperoni in abbondante olio d’oliva, un altro prodotto DOP del territorio. I contadini, quando in passato andavano a lavorare nei campi, scavavano il pane togliendo la mollica e inserendo all’interno le patate e i peperoni preparati la sera precedente.

L’altro vanto della tradizione gastronomica locale sono i salumi: salsiccia, soppressata, capicollo e pancetta sono preparati con sapienza in un vero e proprio rito comunitario. Le carni del maiale macellato vengono selezionate dagli uomini, mentre le donne preparano l’impasto aggiungendo il sale, la polvere di peperone rosso e peperoncino piccante, semi di finocchietto selvatico, un po’ di vino rosso e pepe nero tritato, ma nella soppressata va aggiunto in grani per poi essere insaccato nel budello del maiale. Il capicollo viene, invece, preparato con un altro taglio di carne e poi avvolto in budello  e legato con delle  canne.

I dolci tipici del territorio sono le crocette, i turdiddi, i cullurielli e i cuculi. Cosa sono? Le crocette sono fichi essiccati al sole nelle cannizze (grate di canne). Poi vengono tagliati e incrociati e imbottiti di noci e mandorle e poi infornati e ricoperti di miele. I turdiddi e i cullurielli sono dolci natalizi. I primi sono preparati con farina, uova e zucchero e un po’ di vino e poi fritti e ricoperti di miele, gli ingredienti dei cullurielli, invece, sono solo farina, sale e lievito e vengono ricoperti di zucchero.

Il vino non può mancare per accompagnare il pranzo o la cena. E’ un territorio in cui nel corso dei secoli (in passato la Calabria era chiamata Enotria, cioè terra del vino) si sono  evoluti vitigni autoctoni rossi e bianchi. I più importanti vini rossi sono il Terre di Cosenza, il Donnici, il Magliocco, mentre tra i vini bianchi ergono il Greco e il Pecorello.

LO STADIO

Lo stadio San Vito “Gigi Marulla” fu costruito nei primi anni del ’60, mentre l’inaugurazione ufficiale risale al 4 ottobre 1964. L’impianto sportivo è ubicato nel rione San Vito e dal 21 settembre 2015 ha avuto l’aggiunta del nome del calciatore più rappresentativo della storia del Cosenza Calcio, ovvero Gigi Marulla, prematuramente scomparso nell’agosto dello stesso anno

Fonte: foto sito web Cosenza calcio

15 Luglio 202410 minuti di lettura
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